martedì 13 marzo 2012

Da Vittorio, la scuola (di cucina) è da riformare

In uno dei pochi templi italiani della ristorazione, Da Vittorio a Brusaporto - tre stelle Michelin dal 2010, iscritto ai Relais & Châteaux e ai locali storici d'Italia - da qualche anno è attiva una scuola di cucina organizzata in corsi monotematici.

Quello di ieri sera s'intitolava cucina veloce e m'incuriosiva molto l'accostamento chef di livello internazionale/piatti semplici e rapidi, poiché si sa che è un'accoppiata spesso rara e preziosa.

Così, anche per farmi un regalo di compleanno, alla modica cifra di 80 € - quando una cena delle serate a tema costa sui 100 - ho preso parte al corso con delle aspettative a tre stelle, due cappelli e due forchette.


Il corso si tiene a La Cantalupa, la mega struttura per ricevimenti per la quale la famiglia Cerea decise di trasferirsi fuori Bergamo: tra vialetti alberati, silenzio bucolico e piscina sinuosa, il prestigio è pienamente giustificato.

Siamo in ventisei, le sedie vestite di bianco sono già pronte, qualche tessera da compilare per dare il permesso di inviarci messaggi pubblicitari e finalmente mi siedo.



Aguzzando la vista - come nei giornali di enigmistica - noto che tutta l'attrezzatura è marchiata Kitchenaid, il che mi porterà poi il giorno dopo (cioè adesso) a scoprire che Kitchenaid promuove diverse iniziative di scuola-cucina in tutta Italia attraverso le quali farsi conoscere, caso mai ce ne fosse bisogno.

Dall'elegante cartelletta bianca che ognuno di noi ha ricevuto spuntano le ricette che lo chef Paolo Rota è pronto ad eseguire per noi.

Come come?

Eseguire?

Quindi lui esegue e noi...?

GUARDIAMO???

Ebbene sì, la scuola di cucina è in realtà un cooking show dal vivo e ora resta solo da capire se potremo almeno assaggiare le creazioni o dovremo accontentarci di immaginare di cambiare canale.


La prima ricetta, suggerita come aperitivo o magari leggerissimo antipasto, è l'indivia belga con zola e salsa french.

L'emulsione della salsa è la cosa più interessante, anche se la versione presentata - dice Rota - è semplificata, perché l'originale prevede ben cinque tipi di aceto che per non complicare sono stati magicamente ridotti a due (anche se sono sempre 80 €!).

Su un morbidissimo tovagliolo di carta (perché siamo alla Cantalupa, chissà se eravamo al ristorante...) ho potuto gustare per un millesimo di secondo - la cucina veloce, vedi? - una foglia di indivia con un cubetto di zola e la french ai due aceti, ottima quanto effimera, ché non ho neanche fatto in tempo a fotografare.


Su questa bella sella di coniglio con senape, olive taggiasche e pane nero nulla da ridire, e Rota ha avuto anche il tempo di impiattare bene, solo che il piatto-mattonella è passato tra le nostre ventisei sedie, ora generando panico per la paura di colate di vinaigrette sui vestiti, ora indugiando troppo su qualcuno che ha ben pensato di lasciarmi solo un piccolo rognone come assaggio.


Non è un piatto da fotografare, esclama Paolo quando mi accingo allo scatto (se lo dice lui!) ma io gli rispondo vogliamo le prove!

Siamo passati al filetto di sogliola dorata con maionese leggera e patate schiacciate, sicuramente la preparazione più ricca di scuola in senso buono.

Lo chef ci spiega che per effettuare una buona doratura con poco grasso di cottura (che doveva essere olio di semi ma che poi è diventato d'oliva perché l'assistente latitava), sia l'infarinatura che il passaggio nell'uovo devono essere di sfuggita, tant'è che i filetti, prima di essere fritti, vengono puliti passandoli tra le dita, per evitare un eccesso di pastella.



Mentre assaggiamo (finalmente sui piattini, come i cristiani) la maionese leggera giustamente sembra a tutti un ossimoro, e il generoso Paolo ci spiega che da un punto di vista dietetico non è leggera manco pe' niente, anzi, è una maionese arricchita addirittura con brodo di carne, soltanto resa più vaporosa dall'aggiunta di albume a neve, così circola l'annuncio che ci forniranno a breve la ricetta dettagliata di questa maionese speciale ma poi ci arriva quella che si può trovare su qualsiasi libro di cucina, al che lo chef è costretto a dettarla quattro o cinque volte alle corsiste preoccupate di perdersi gli ingredienti.


Queste papillottes di salmone affumicato contengono delle uova strapazzate arricchite di altrettanto salmone e aneto, e sono accompagnate da un classico abbinamento scandinavo, il cetriolo.

Momenti drammatici durante la preparazione, quando lo chef assegna per pochi secondi il controllo delle uova alla sua assistente, la quale le porta inesorabilmente fuori cottura e lui è costretto a rifare tutto da capo.

In compenso, vederlo avvolgere nella pellicola i fagottini, per dargli la forma sferica, con pazienza, maestria e quasi tenerezza, rende un po' di giustizia.

Resterebbe il dolce, ma se la cavano con poco: savoiardi imbevuti nel caffè alla sambuca, con panna leggera (aridaglie!) e cacao, che non ho fotografato neanche, sia perché non è altro che una variante del montaggio del tiramisù, sia perché per tagliar corto lo chef ha deciso di fare un solo strato, mentre l'assistente andava avanti e indietro portando solo due caffè per volta, mentre i savoiardi bevono e bevono.

Tre "sì"
Innanzitutto lo chef Paolo Rota, generoso, disposto a rispiegare e a rifare tutto, se necessario, prodigo di consigli, dettagli e informazioni, al di là del programmato.

La cornice è quella che è, siamo al top, quindi è sicuramente piacevole il solo mettere piede in questo posto.

Infine, dovendo trovare un terzo lato positivo, direi i tempi, come tutti i grandi professionisti sono stati ultra puntuali.

Tre "no"
Il solo guardare è veramente inconcepibile, prima di tutto perché in ogni dove, sui giornali e nei comunicati, c'è scritto che a piccoli gruppi si lavora ai fornelli e quindi stare seduti a vedere è sconcertante, e poi per il costo, di poco inferiore all'abbonamento televisivo ma per aver visto solo una puntata.

Lo spazio è imbarazzante, ventisei di noi imbottigliati, che al solo ruotare la testa ci urtavamo, per non parlare dei tovaglioli di carta e della forchetta unica che ci veniva chiesto di conservare, abitudine purtroppo molto diffusa nei ristoranti della provincia di Bergamo e che spero Da Vittorio non sia perpetuata.

Altrettanto stupefacente che all'atto del pagamento non venga rilasciato alcunché, neanche un biglietto di carta di quelli numerati e colorati, giusto per far vedere che qualcosa si registra (80 per 26 fa 2080).

La scuola di cucina?

Ma non sarà mica passata la Gelmini, da queste parti?

Ah già, vive a Bergamo...

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