sabato 19 aprile 2014

Una Pasqua speciale: casatiello e pastiera


Sarò controcorrente, forse, ma da un punto di vista gastronomico, preferisco di gran lunga la tradizione pasquale a quella natalizia.

Il Natale, così intrecciato a dinamiche commerciali - una volta si diceva consumistiche - ha visto mescolarsi le tradizioni locali, focalizzarsi soprattutto sulla produzione dolciaria, nazionalizzando i classici dolci da forno e quasi del tutto cancellando o mettendo fortemente in sordina le altre specialità italiane legate alla natività.

La Pasqua invece, ancora libera da forti condizionamenti economici, vede trionfare le specialità regionali, le specificità, i menù tradizionali, e anche chi non ha piatti specifici legati a questa festa, la vive comunque come festa, preparando il piatto principe della propria tradizione.

Forse la tradizione culinaria regionale più forte d'Italia legata alla Pasqua è proprio quella napoletana, e non è affatto strano.

La vocazione rurale e agricola della Campania è roba di millenni, anche se deturpata da un secolo e più, ma le tradizioni per fortuna arrivano sempre da tempi migliori e sono in grado di resistere alle decadenze.

Mettendo da parte la cucina, e quindi la preparazione di paste, carni, verdure, che pure rientrano nei menù tipici di questo periodo e di questa zona, gli emblemi sono senza dubbio il casatiello e la pastiera.

Sorta di pane rustico il primo, dolce contadino sopraffino la seconda, hanno la capacità di raccontare le loro origini, i loro contesti di nascita e sviluppo, e soprattutto le ragioni del loro duraturo successo.


Caso vuole...


Casatiello contiene la parola caso, cioè cacio, formaggio, sebbene l'ingrediente che lo contraddistingue è di origine suina.

Ma la precisazione etimologica è importante perché il formaggio è prodotto dei pastori, e l'arrivo della primavera impegna questi ultimi nello spostamento delle greggi, nella gestione di una produzione di latte rinnovata dal cambio di pascolo, e quindi nella necessità di utilizzarlo.

La cucina regionale del centro sud deve moltissimo all'attività della pastorizia giocata a cavallo tra le pianure fluviali e gli Appennini, e un elemento importante di questa cucina è il carattere trasportabile degli ingredienti essenziali o addirittura delle preparazioni.

La grande tradizione dei piatti laziali basati sul guanciale e il pecorino, per esempio, si è consolidata proprio per l'uso dei pastori di portare con sé questi elementi che, ora uniti alle uova, ora sporcati di pomodoro, ora usati in purezza, sono diventati la carbonara, l'amatriciana, la gricia, la cacio e pepe.

Il casatiello, come le torte pasqualine in genere e i timballi, testimonia di questa necessità del trasporto, che diventa anche virtù, dal momento che molte ricette pasquali sono perfette per andare fuori porta, a godersi il primo sole forte in un prato.

Tra febbraio e marzo la lavorazione del maiale metteva poi a disposizione una gran quantità di prodotti suini.

E mentre l'olio d'oliva non era alla portata di tutti, chiunque poteva farsi la sua scorta di grasso per ungere, per friggere e per condire, sciogliendo il grasso del maiale e ricavando sugna e strutto.

Il casatiello si prepara con una considerevole dose di questo grasso che permette alla pasta di rimanere morbida e addirittura di sfogliare, se preparata con delle piegature.

Per completare il tutto, in base al motto del non si butta via niente, colando il grasso del maiale se ne ricavano i ciccioli, che al sud si chiamano cicoli o cicole, che vengono inseriti, assieme a salame e ovviamente formaggi, in questo grosso ciambellone che celebra il sabato santo, arricchisce l'antipasto della domenica, ed esalta la scampagnata di pasquetta.

Il casatiello

Ingredienti:
500 g di farina 00 o 0
10-12 g. di lievito di birra
2 cucchiaini di sale fino
350 g. di acqua
125 g. di strutto o sugna
100 g. di salame
150 g. di provolone piccante
100 g. di pecorino
150 g. di ciccioli

(La tradizione vorrebbe anche le uova, da appoggiare sulla ciambella, fermare con due strisce di pasta formando una croce e lasciar cuocere in forno fino a rassodarle. La croce che tiene ferme le uova è un chiaro riferimento religioso, per questo ha un valore tradizionale importante, però un uovo rassodato per un'ora io - e ripeto io - lo trovo immangiabile).

Mescola farina e sale, sciogli il lievito schiacciandolo tra le dita nell'acqua, aggiungi 50 g. di strutto alla farina e inizia a impastare, distribuendo per bene lo strutto.

Aggiungi l'acqua col lievito e impasta finché gli ingredienti stanno insieme, ma senza renderlo liscio.

Fai lievitare dalle 5 alle 12 ore, più lievita più sarà digeribile (tieni presente che c'è una quantità di lievito che per una normale pizza o pane sarebbe eccessiva, ma è necessaria perché il grasso nell'impasto può rallentare la lievitazione).

Taglia a cubetti i ciccioli, il provolone e il salame.

Quando la pasta è lievitata, allargala senza schiacciare, ma tirando i lembi, su un asse o un piano infarinato, spalma altro strutto e spolvera di pecorino, poi piega l'impasto su sé stesso e ripeti altre due volte l'operazione.

Dopo l'ultima piegatura, riallarga l'impasto, distribuisci la farcia, e avvolgi a rotolo, unendo poi le estremità e formando una ciambella, che adagerai in uno stampo con buco, unto di strutto.

Distribuisci ancora strutto in superficie e lascia lievitare ancora una o due ore.

Porta il forno al massimo e quando è pronto inforna e abbassa a 200 gradi, così cuocerà in caduta, come nel forno a legna.

Un'ora è sufficiente, poi fai raffreddare e sforma in un piatto.

Elogio della primavera


La pastiera è la primavera, e non c'è in Italia niente che la eguagli.

La farina, le uova, lo zucchero, la ricotta, il grano, i fiori, i canditi, ingredienti che gridano la rinascita della terra, della vita, delle attività.

Si esce dal freddo, si esce dalle case, torna il sorriso, perché la pastiera è un dolce ridente.

La leggenda dice che fu il mare a crearla, mescolando a caso i singoli ingredienti portati in offerta da mogli di pescatori o - secondo un'altra versione - da sacerdotesse delle sirene.

Nell'entroterra vesuviano, se ne fa una versione con la pasta, sì, quella che mangi col pomodoro!, e da lì si è sviluppata un'etimologia fantasiosa e improbabile, per la quale pastiera sarebbe la pasta di ieri, riutilizzata per fare il dolce, storiella che fa sorridere ma inconsistente, a differenza della pastiera da mangiare.

A proposito di sorrisi, si narra che una fetta di pastiera abbia fatto tornare il sorriso all'imbronciata moglie asburgica di Ferdinando II di Borbone, ma ai napoletani piace inventare queste storie anche sugli austriaci che invece ci hanno insegnato a fare i dolci e il caffè.

Se il cesto di pasta frolla con la ricotta dolce e i canditi è lontano ma sicuro parente della cassata al forno siciliana - quella originale, non quella glassata di oggi - il colpo di genio è l'acqua aromatizzata con i fiori, quasi sempre d'arancio, che trasforma la degustazione della pastiera in un'esperienza sinestetica rara e preziosa nel nostro paese.

La pastiera

Ingredienti:
per la pasta
500 g. di farina 00
200 g. di strutto o sugna
3 uova
200 g. di zucchero
per il ripieno
700 g. di ricotta preferibilmente di capra, pecora o mucca (in quest'ordine)
500 g. di zucchero
5 uova e 2 tuorli
500 g. di grano cotto
150 g. di latte
50 g. di strutto
1 limone
200 g. di canditi
cannella
1 tazzina di acqua di fiori d'arancio

(Altrettanto tradizionale ormai l'aggiunta di qualche cucchiaiata di crema pasticcera, per ingentilire il dolce. Poiché però la pastiera è un dolce non dolcissimo, il rischio è che la crema aumenti la sensazione zuccherina e soprattutto annulli l'effetto grossolano del grano).

Unisci tutti gli ingredienti per la pasta frolla, forma una palla e metti a riposare in frigo, avvolta in pellicola, per almeno mezza giornata, così sarà più sicuro e facile stenderla e lavorarla.

Metti a scaldare il grano cotto con il latte e i 30 g. di strutto, grattugiando la buccia di un limone.

Tieni sul fuoco almeno una decina di minuti, per rendere tutto cremoso e aromatizzato, poi fai raffreddare bene.

Setaccia la ricotta, amalgamala allo zucchero usando un cucchiaio di legno, poi unisci uova e tuorli e mescola fino a formare una crema.

Unisci al composto di ricotta e uova il grano cotto, poi i canditi, la cannella e l'acqua di fiori.

Stendi la pasta e rivesti lo stampo o gli stampi unti di strutto - con queste dosi va bene una pastiera di 30-40 cm. di diametro e 5-6 cm di altezza - poi versa il ripieno.

Con la pasta avanzata, fai delle strisce da intrecciare in superficie, come una crostata.

Forno già caldo a 180 gradi, almeno un'ora e mezza per un risultato ottimale.

Meglio se mangiata più di un giorno dopo.

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