martedì 27 maggio 2014

Pizza e bollicine: Cerea-Salvo, la jam session del gusto


Francesco Salvo si racconta con la disinvoltura e la sincerità dell'artigiano consapevole delle sue capacità e nello stesso tempo attento a tenere i piedi ben piantati per terra.

Con suo fratello Salvatore sono protagonisti, qui alla Cantalupa a Brusaporto, di un'alleanza strepitosa tra la loro pizzeria, Salvo, e il ristorante Da Vittorio: così per una sera assistiamo a una travolgente jam session tra i Cerea, i fratelli stellati, e i Salvo, i fratelli dalla pizza stellare.

Eppure, vista la cornice e il prestigio dell'occasione, ci sarebbe da perdere la testa e ringalluzzirsi, ma dalle parole di Francesco emerge innanzitutto il grandissimo rispetto per la famiglia bergamasca che li ospita, tanto da dichiarare scherzosamente che qui a Brusaporto ce fosse venuto pure a ppere.

E senza dubbio i fratelli Cerea non si sono risparmiati nel trasformare il bordo piscina della Cantalupa in un angolo partenopeo, soprattutto grazie a una sfilza di leccornie e prodotti di prima scelta che facessero da scudieri al piatto principale, la degustazione di sei pizze d'eccellenza, come solo i Salvo sanno garantire.

La curiosità è grande, riusciranno i due fratelli pizzaioli - con l'aiuto del forno di Stefano Ferrara che rimarrà alla Cantalupa per prossimi eventi a base di pizza - a ricreare l'habitat che è loro proprio, a 800 km di distanza, alzandosi di buon mattino a preparare l'impasto in condizioni climatiche differenti, senza far perdere al prodotto finale le caratteristiche che rendono celebre la loro pizza?

Su questo Francesco è preciso: la ricerca svolta nell'ultimo anno ha portato a risultati di altissimo livello, perché dopo aver assemblato artigianalmente un blend di farine a marchio Caputo, la stessa azienda ha voluto studiarlo per esaltarne le caratteristiche positive e migliorarne le criticità, fino a produrre espressamente per i fratelli Salvo una farina che si adatta alla perfezione alle loro esigenze e obiettivi.
Tutto questo non per fare marketing e commerciare una farina con sopra stampato il proprio cognome, ma esclusivamente per amore del proprio mestiere, serietà professionale, voglia di migliorarsi giorno dopo giorno.

Un lavoro silenzioso, spesso sconosciuto alla maggioranza dei clienti ma anche degli addetti ai lavori, troppe volte presi a guardare la propria eccitazione nello scrivere di classifiche improbabili, di contrapposizioni immaginate, di faide laceranti.

Se c'è qualcosa che a volte Francesco si sente di imputare a chi parla del fenomeno-pizza è questa morbosa attenzione ad apporre etichette come il re dell'impasto, il principe della lievitazione, il boss della bocca-di-forno, definizioni che una volta affibbiate, invece di valorizzare finiscono per ridurre in modo semplicistico il lavoro svolto.

Un lavoro che ha portato Francesco e Salvatore due anni fa a rinnovare il loro locale e dar vita a un concept di pizzeria innovativo, che parte sì dalla consolidata qualità della pizza, ma che pone anche la massima attenzione al servizio, al personale, all'accoglienza, alla varietà delle carte, vini compresi, sui quali i due fratelli hanno da pochi mesi intrapreso un percorso altrettanto innovativo: portare i grandi vini in pizzeria, cercando di adottare una politica dei prezzi quanto più possibile democratica, per offrire qualità al maggior numero di clienti, con rincari di gran lunga inferiori a quelli che si riscontrano in locali dal balsone - vero o presunto - più elevato.

Proprio sui costi, ci confrontiamo in maniera serrata e costruttiva, convenendo sul fatto che a Napoli la pizza forse costa ancora troppo poco, vuoi per consuetudine, vuoi perché realmente il mercato locale non permette grandissimi aggiustamenti, e se un aumento dei prezzi è pensabile, va inquadrato nel valore dell'artigianalità e della quantità di impegno e pensiero che il pizzaiolo mette dietro le sue creazioni, altrettanto degne dei piatti da ristorante.

I preparativi fervono, ma la serata è partita con il marchio del successo annunciato: neanche dopo ventiquattr'ore dalla mail che avvisava dell'evento si erano raggiunte le 200 prenotazioni e altrettante in lista d'attesa, tanto che Chicco Cerea non ha esitato a chiedere ai Salvo di bissare il giorno dopo, e rinunciare, per i due fratelli campani, dev'essere stato come darsi una martellata (non dico dove).

Salvo-Cerea, dunque: quale origine ha il connubio?


Tutto parte da questa pizza: dallo scorso ottobre, infatti, nella carta dei fratelli Salvo, tra le pizze stellate, campeggia la creazione di Chicco Cerea, che costruisce un ponte ideale tra la gastronomia bergamasca e quella partenopea appoggiandosi alla coppia baccalà e patate, presente in entrambe le tradizioni, vivacizzata dal pesto ligure e facendo leva sulla solida napoletanità della provola di bufala e dei pomodorini del piennolo.


Dopo l'invito rivolto agli chef bergamaschi a ideare una pizza per loro, i fratelli Salvo sono stati a loro volta invitati dai Cerea per questa serata speciale, interamente dedicata alla loro arte e alle atmosfere napoletane.

Sul tavolone del buffet allettano il polpo, la braciola d'annecchia, la scarola, le alici, e poi la profusione di mozzarella, pettola, provola, in questo tripudio bufalino che più tardi verrà spazzolato con vera incredulità dai commensali.

E a tavola, deliziati dai tre Maximum di Ferrari, il brut, il rosé e il demi-sec, discretamente i Cerea danno testimonianza del loro valore con un unico piatto - e unico lo è per davvero, in senso di prezioso - , cimentandosi in un raviolo caprese che condensa una perizia e una raffinatezza da cancellare ogni minimo dubbio su quanto sia meritato il prestigio che si riconosce loro.

Mentre le fritture - pesce da una parte e fiori di zucca con ricotta dall'altra - contribuiscono a immergere la Cantalupa nelle acque antistanti al Vesuvio, Salvatore ammacca i dischi di pasta e intanto si preparano le prime pizze.


Giustamente l'esordio è della margherita del Vesuvio, con pomodori del piennolo, mozzarella di bufala campana DOP, olio extravergine vesuviano.

Lo stupore colora i volti all'assaggio, quando la sofficità della pasta si traduce in quella sensazione di leggerezza in bocca, mentre i sapori si amalgamano come solo sulla pizza napoletana può succedere: il miracolo è riuscito, il trapianto a 800 km dà esito positivo, senza rigetto, e complimenti anche a Ferrara per il suo forno.

L'esaltazione dei commensali è palpabile, così dopo la margherita arriva l'uno-due della cosacca e della marinara, e in questa prima tranche la tradizione della pizza napoletana è servita dai Salvo e riverita dai bergamaschi che hanno voluto onorarli.

 Da napoletano, che la marinara lasci stesi tutti non mi stupisce, ma mi fa ancora più piacere che riscuota il dovuto successo una delle pizze che contraddistingue i fratelli Salvo, cioè la cosacca che - come giustamente sottolinea Francesco - è un inno alla semplicità, con il pomodorino di Corbara e il pecorino bagnolese.

La seconda tornata di pizze prende l'avvio da una base di mozzarella DOP sulla quale si esaltano il cipollotto nocerino e le alici fresche, intensificate dal caciocavallo podolico.

Una pizza di carattere che dimostra l'enorme duttilità della pizza, l'attenzione ai prodotti pregiati del territorio, senza tuttavia eccedere ma cercando piuttosto un equilibrio per contrasto, tra la dolcezza del cipollotto e la salinità delle alici.

E dopo la pizza stellata dei fratelli Cerea già vista sopra, è veramente uno spettacolo osservare Francesco Salvo mentre governa nell'olio bollente le pizze fritte che di lì a poco faranno letteralmente delirare le persone a tavola.



Due giri di schiumarola e la pizza, opportunamente tamponata dal grasso in eccesso, vola dritta ai tavoli, facendo venire a tutti la voglia di un trasferimento immediato a San Giorgio a Cremano.

La chiusura, insomma, lascia il pubblico bergamasco nella più totale incapacità di trovare le parole adatte per descrivere un simile crescendo di bontà.

E il successo stratosferico si amplia dai fratelli Salvo alla napoletanità tout court, grazie all'allucinante buffet di dolci napoletani approntato dai Cerea.


Dal tavolone strapieno di delizie al limone, sfogliatelle frolle, caprese, babà, struffoli e zeppole di San Giuseppe, spicca soprattutto questa splendida pastiera che piange, nel senso che trasuda la giusta umidità, e fa piangere di commozione perché la sua bontà è oltre ogni facoltà descrittiva.

Felice la casa che ospita un amico, disse una volta Ralph Waldo Emerson.

Felice la famiglia Cerea nell'ospitare i fratelli Salvo che a loro volta hanno dispensato felicità a noi, oltre ogni divisione tra nord e sud.

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