martedì 2 settembre 2014

Gourmet in trasferta: fratelli Salvo, oltre i confini della pizza


Fare la pizza oggi a Napoli e nella sua provincia vuol dire avere il coraggio di confrontarsi con una tradizione più che secolare che può pesare come un macigno, perché la pizza è intoccabile e a volte lo è anche il folclore che gli si dipinge attorno.

Fare la pizza in questo territorio vuol dire mettersi in gioco con una concorrenza sterminata di bravi artigiani, tutti o quasi capaci oggi di ottenere il meglio da quel miscuglio semplice di acqua, farina, lievito e sale, e distinguersi è un'impresa, ma anche un imperativo.

Fare la pizza in queste condizioni e portare anche il cognome Salvo vuol dire infine sobbarcarsi il peso di una storia familiare illustre nel mondo della pizza, e sapere che, comunque vada, le persone tenderanno a semplificare, a vedere faide dove non ci sono, a fare improbabili classifiche che finiranno solo per dividere ciò che invece si dovrebbe sempre più unire e rinforzare: la potenza sul mercato mondiale dell'artigianato dei pizzaioli napoletani.

Fronteggiare queste difficoltà richiede una visione ampia, capace di andare oltre i confini della pizza e basta, ma saper guardare all'eccellenza degli ingredienti, equilibrare la qualità con i grandi numeri - perché di pizze se ne continueranno sempre a vendere numeri spropositati - e nello stesso tempo aprirsi a nuove esplorazioni e abbinamenti, sdoganando la pizza dalla semplice birretta e accostandola per esaltarla alle migliori etichette di vini italiani e internazionali, nonché realizzare un ambiente che trasmetta al cliente cura meticolosa, attenzione puntuale, coordinazione e precisione millimetrica dei dettagli.

Il modo in cui Francesco e Salvatore Salvo si misurano con la tradizione è rispettoso e nello stesso tempo indipendente, e se da un lato potenziano la bontà delle pizze tradizionali con ingredienti di qualità elevata, dall'altro giocano con il rapporto stesso che non solo il ristoratore ma anche il cliente ha o crede di avere con la tradizione.




Esempio illuminante, le zeppole di Giuseppe che fanno da fine pasto, e scusate se parto dalla fine: nella smania di cercare sempre la cultura in ciò che si mangia, il commensale può provare a immaginarsi chissà quali origini complesse e ataviche ci siano dietro questa denominazione - chi sarà stato questo Giuseppe? C'entra per caso S. Giuseppe che pure dà il suo nome a celebri zeppole? Sarà stato l'inventore, di solito fortuito, delle suddette zeppole? Qual è la soluzione del mistero? - è già pronto ad abbeverarsi alla fonte della filologia gastronomica per apprendere come vennero alla luce questi favolosi dolcetti, per poi leggere che Giuseppe è il figlio di Francesco e ha chiesto al papà - reo di aver dedicato alla figlia Federica una birra - di battezzare col suo nome qualche altra cosa da servire ai clienti.

Dopo aver riso di gusto - lo stesso gusto elettrizzato dalle pizze e dalle fritture -  capisci che Francesco e Salvatore, invece di sedersi sul Vesuvio e sfruttare le infinite potenzialità della cartolina 'e Napule sono pronti a rivoltarsi come calzini per non perdere l'appuntamento con la contemporaneità, perché questo hanno appreso dal padre, e così il padre dal nonno, fino a risalire alle origini della famiglia, nella prima metà del Novecento.

La concorrenza è forte, si diceva, ma su questo la tradizione familiare e il continuo studio avvantaggiano i Salvo come famiglia, da sempre riconosciuti come maestri dell'impasto.

Eppure anche qui Francesco e Salvatore saltano la staccionata, sancendo una santa alleanza con Antimo Caputo che, stupito dal blend artigianale di farine creato per prove ed errori dai due fratelloni, si decide a fabbricargli una farina appositamente dedicata alle loro pizze, che oggi permette loro di ottenere una pizza di qualità costante, anche quando al sabato le pizze da sfornare diventano migliaia a velocità inimmaginabile.

Alta idratazione, una ventina di ore di lievitazione a temperatura controllata a pelle, cioè senza frigoriferi, e la pizza napoletana, sottile e dal cornicione morbido può uscire dai due forni, dopo l'attento controllo oltre il quale non passano pizze che non siano cotte al punto giusto o che abbiano difetti e bruciature.



Come fa il pomodoro a non cuocersi su questa margherita, la domanda si leva con prepotenza.

E che pomodoro, pacchetelle di corbarino a caratterizzare la loro pizza del giorno, un pomodoro dolce che i pochi secondi di cottura non alterano ma anzi valorizzano, su una base di fiordilatte Bellopede, secondo tradizione.


Il confronto con l'altra margherita, quella del Vesuvio, dà vita a un testa a testa esaltante: qui sono i pomodorini del piennolo di Olivella Gourmet, coriacei e intensi, a conferire carattere alla pizza più classica del mondo.


Tra le due margherite si insinua con personalità la cosacca, una pizza che Francesco ci tiene a precisare essere antica, di tradizione, e non certamente di loro invenzione, ma mente sapendo di mentire, perché nel mondo degli amanti della pizza napoletana, nella sotto-categoria innamorati sfegatati dei Salvo, questa è la loro pizza, con tutto il rispetto per il resto del menù (che puoi consultare qui per farti un'idea dei costi e progettare la tua esperienza).

Tant'è vero che, assaggiata presso altre pizzerie che la propongono, viene sempre fuori la magagna.

Se unisci pomodoro e formaggio, e il pomodoro non è sufficientemente dolce, si produce una fastidiosa acidità che disturba innanzitutto il palato prima che lo stomaco.

Invece grazie al corbarino, con una sapida pioggia di pecorino Bagnolese, la pizza più lineare e rigorosa, che sfugge alle categorie e merita un premio a parte, si conferma vera esclusiva in un campionario di specialità che è la loro lista.



Il frigorifero invece c'entra eccome in quello scrigno di gioielli che è la loro frittura, il miglior incominciamento quando ci si siede lì a Largo Arso.

Francesco - che mentre racconta fa zampillare da ogni poro la sua competenza - ci spiega a profusione che far incontrare l'olio di semi ad alto contenuto di acido oleico - portato a temperature proibitive - con i pezzi da friggere belli freddi, fa scaturire lo shock necessario a creare subito la crosta esterna - ottenuta solo per cristallizzazione degli amidi e senza impanature - e di forgiare il pezzo fritto in pochi secondi, così non assorbirà neanche una goccia d'olio.

E non è vero che sia inutile sottolineare ancora una volta la cura degli ingredienti, perché quando assaggi lo scagliozzo di polenta e ti accorgi che è fatto con una signora polenta - lasciatevelo dire da un bergamasco acquisito come me - comprendi che qua persino le sopponte sotto le gambe dei tavoli per non farli ballare sarebbero ripiegate con estrema attenzione una per una usando la carta migliore (ovviamente è una battuta, non mi risultano sopponte sotto i tavoli!).

Insomma, non ti fai capace, perché stai pur sempre in una pizzeria, e nello stesso tempo ti rendo conto dell'unicità di questo posto, di chi lo dirige, e delle capacità imprenditoriali che stanno soltanto emergendo e chissà fin dove si prolungheranno.

Quest'anno poi il riconoscimento più bello, il premio come migliore carta dei vini e delle birre nella guida del Gambero Rosso.

Non perché sia il Gambero Rosso, non è il valore della guida a dare prestigio al riconoscimento.

L'importanza sta nell'aver dato alla pizza la dignità della vera cucina, non a parole ma coi fatti, con centocinquanta etichette di vini italiani ed esteri da abbinare alle loro pizze.

Una spallata definitiva al vecchio muro ammuffito del pizza e birra o pizza e Gragnano (abbinamento che resta ottimale anche dai Salvo, con la citata Federica, prodotta dal birrificio L'Olmaia, o con il Gragnano di Iovine, tanto per dire).

Impagabile la collaborazione di Pasquale Brillante, e così si può giocare con abbinamenti speciali o tradizionalissimi, restando in Italia o puntando oltr'Alpe, fino a risalire agli Champagne.

Grazie all'Enomatic poi le accoppiate pizza-vino si possono moltiplicare, cambiando calice a ogni morso, e oltre alle etichette campane tipiche, e qualche significativa puntata al nord Italia, si può anche pasteggiare con il delicatissimo accompagnamento del Pétale de Rose Château la Tour de l'Évêque AOC Côtes de Provence, che volendo arriva anche in bottiglia.

Non manca una selezione di Marsala che a Napoli e dintorni storicamente si abbina alla pizza fritta e i Salvo sanno realizzarla con maestria rara, come ho già raccontato qui (peccato che i due miei compagni di tavola fossero già arrivati al limite, altrimenti anche l'assaggio di pizza fritta non lo avrei certo mancato).

E per il fine pasto - magari proprio con le ormai famose zeppole di Giuseppe - ci si può deliziare con il Moscato d'Asti Palàs di Michele Chiarlo, cosicché il morbido delle zeppole si riveste di raffinatezza.

Poiché però sui dolci non cremosi io continuo a preferire vini passiti, perché non provare anche il Passito Doc Antheres Irpinia Aglianico Mastroberardino?

Neanche si finisce di dirlo e il bicchierino si materializza, per scoprire l'incredibile duttilità di questa gloria vitivinicola del Sud.

Un'esperienza che non si chiude a tavola, ma nella piacevolezza di continuare a chiacchierare con Francesco, sempre lucido e sincero, eppure orgoglioso e consapevole di aver investito con suo fratello Salvatore non solo nel loro futuro, ma in una visione davvero nuova e vincente, che ora comincia a maturare, come fa il loro impasto quando è pronto a essere ammaccato, o come l'uva che non chiede altro di essere vendemmiata, magari per trasformarsi in bottiglie della loro cantina vittoriosa.

Professionisti seri, persone affidabili, ospiti familiari: a uscire pieno dalla porta della pizzeria di Francesco e Salvatore Salvo è soprattutto il cuore.

Grazie.

Salvo Pizzaioli
Largo Arso 10-16
80046 S. Giorgio a Cremano (NA)
tel. 081 275306
Chiuso Dom

P.S. (non pertinente con il post): in un agosto per me durissimo, la vicinanza delle persone è stata l'ingrediente più prezioso, perciò grazie a Roberto Staffelli e Alfredo De Cecilia, che erano con me nei giorni precedenti e nella sera stessa di questa pizziata, e grazie a Francesco Salvo che ho sentito vicino come loro due che mi sono amici da trentatré anni.

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