lunedì 6 aprile 2015

Gourmet in trasferta: da Carmnella, il cuore grande di Vincenzo Esposito


Ce l'ha proprio sul cuore, Vincenzo Esposito, il logo della sua pizzeria Carmnella, ed è più luminoso dell'insegna esterna, perché qui, lontano da salotti o dalle suggestioni del centro storico, sarebbe  ancora più difficile affermarsi, se la pizza non fosse all'altezza, se la professionalità non fosse adeguata, e soprattutto se non ci si mettesse la giusta quantità di cuore.

Ora, imparare a fare la pizza è stato per Vincenzo relativamente facile, grazie a suo padre Salvatore, per mezzo secolo a capo dei banchi e dei forni dello storico Trianon.

E la professionalità, quando nasci e cresci in una famiglia che nella ristorazione si muove da più di un secolo, prima o poi la assorbi, ti permea, penetrando in ogni poro della tua pelle e possedendoti in modo assoluto.

Ma il cuore?

Il cuore arriva direttamente da Carmela Sorrentino, la Carmnella che mise alla luce e battezzò il primo locale, e nel nome della quale prima di Vincenzo - di cui Carmela era la bisnonna -  già i suoi genitori si impegnarono a portare avanti la tradizione.

Sulle spalle di Vincenzo Esposito, dunque, grava senz'altro una responsabilità, quella di essere all'altezza di una storia partita al tramonto del XIX secolo, ma proprio grazie a questa storia di anni e di esperienze le spalle si sono fatte solide e la cucina e la pizza - che nell'ultima guida Gambero Rosso si è vista riconoscere i due spicchi - non smettono di stupire e migliorare.



Vincenzo si racconta con la stessa naturalezza con cui ammacca e concia, e che ami il suo lavoro lo si capisce bene non solo per l'esecuzione egregia, ma per come si accende nell'espormi le sue idee, i suoi pensieri, le sue speranze e desideri.


Proprio davanti al classico dei classici, la margherita, sigliamo la nostra intesa su un punto: questo è un momento storico importante, perché dopo tentativi di snatuarla, strattonate mediatiche, e operazioni di facciata in nome dei molti zeri, si torna ad affermare con forza che la pizza napoletana è questa, si è sempre fatta così, non c'è motivo di cambiarla, fatte salve le sperimentazioni che ognuno a casa propria sarà sempre libero di tentare, ma che nulla aggiungono a questo che più di un piatto è un capolavoro di civiltà.


E non è eccessivo definirla tale, se solo si pensa a come lo stesso Vincenzo rappresenti il modello base di una trasmissione culturale, nella quale la pizza non è solo un prodotto da vendere, ma il fulcro di un'identità sociale che all'interno della famiglia - una realtà che oggi è pesantemente bombardata dalla modernità - si trasmette ed evolve, conservando però la maggior parte dei suoi tratti.

Da Carmnella la bisnonna, passando per nonno Gennaro, arrivando a Carmela e Salvatore, i genitori, fino allo stesso Vincenzo che già fa passare dietro al banco il suo bambino per i primi rudimenti dell'arte, il confine tra il mestiere e il destino si assottiglia e la consapevolezza dei nostri tempi trasforma questa condizione da limite in virtù.

E chi pensasse a tutto ciò come una storia romantica, o come un afflato mistico in difesa d' 'e tiempe belle 'e 'na vota sarebbe cieco come chi guarda l'albero e non la foresta, e a costui possiamo dire che non esiste al mondo un fenomeno simile, nel quale dietro un piatto si stratificano decenni di storie familiari e vicende intrecciate con lo sviluppo della società.


E anche quando Vincenzo racconta delle sue pizze, della creatività che non smette di farlo sentire innamorato del suo mestiere, si colgono le molteplici valenze che ha per lui che le fa e per noi che possiamo conoscerle e gustarle.

Come questo munaciello, in tutto e per tutto come una classica pizza fritta, tranne che per la cottura, perché pizzaiolo e friggitore erano sempre stati due mestieri differenti, rispettosi l'uno dell'altro, e che non sempre si è in grado di conciliare.


Il segreto per la giusta cottura al forno arriva direttamente da papà Salvatore che, ai banchi del Trianon, per non scontentare chi chiedeva il ripieno in bianco, e tuttavia non bruciarlo con l'altissima temperatura del forno, pensò bene di cospargere la superficie di olio e una spruzzata di pecorino grattugiato, formando una crosticina che non solo protegge ma addirittura esalta il gusto dell'involucro.


All'interno, il calore ha creato un'amalgama al quale ci si arrende docilmente, sapori fusi in un equilibrio che solo la maestria degli anni al bancone sa ottenere ormai con l'occhio e con le mani.

E lo stesso Vincenzo non si tratta affatto male, con questa bellissima bufala e funghi, e il farci compagnia degustando le sue creazioni diventa lo spazio amichevole nel quale può emergere la sua umanità, l'accoglienza, la disponibilità e gli spassosi aneddoti che sono nel repertorio genetico, qui ai piedi del Vesuvio, come quello del cliente affezionato che dichiara di non recarsi più da Carmnella perché le pizze di Vincenzo sono talmente leggere che quando torna a casa gli viene di nuovo fame!

Io stesso ringrazio le circostanze, l'essere capitato qui in un momento speciale per la pizza napoletana e per Carmnella e chi la anima, con la consapevolezza del buon lavoro svolto finora, di come la costanza prima o poi paghi molto di più di qualunque scorciatoia o sotterfugio, e dell'aver raccolto stima e risultati semplicemente restando fedeli a un impegno.

Quell'impegno sancito già dal 1892 da Carmela Sorrentino, Carmnella, e che ancora è saldo nel cuore di Vincenzo Esposito, proprio sotto quella scritta brillante ricamata col suo nome.

Trattoria pizzeria Carmnella
via Cristoforo Marino 22-23
80142 Napoli
tel. 081 5537425
chiuso Dom

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